EDUCARE ED AMARE

11.01.2021

Non siamo più capaci di educare e di amare: recentemente, in un asilo della Versilia,
un bambino di 4 anni è stato lasciato senza regali, unico nella classe, per il suo comportamento troppo vivace. Il bambino non vuole più tornare a scuola.

E' l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale per i bambini di un asilo in Versilia. Le insegnanti distribuiscono ai piccoli alunni un regalino arrivato con le magiche renne e, mentre i compagni scartano emozionati i loro pacchetti colorati, Giovanni (nome di fantasia) attende speranzoso il suo turno che, purtroppo, non arriva mai. Il bambino, di appena 4 anni, viene punito dalle maestre per essere stato "troppo agitato" e resta, desolato, a mani vuote. "Se ti comporterai bene, lo riceverai a gennaio", spiegano le maestre davanti a tutta la classe, quando Giovanni scoppia in lacrime. Un provvedimento disciplinare che lascia alquanto sbigottiti, soprattutto la mamma di Giovanni che, ascoltando il racconto del figlio, decide di chiamare la scuola certa che si tratti di un malinteso. "Pensavo a un fraintendimento e ho chiamato la scuola convinta che magari il suo dono fosse stato smarrito - dice ancora sconvolta -. E invece no, è tutto vero, sono rabbrividita e la vigilia di Natale ho raccontato la storia sui social e poi sulla chat della scuola che però l'ha bloccata. Mio figlio adesso non vuole più tornare in quell'asilo. Ha perso il sorriso ed è successo nei giorni per lui più belli e magici". Sui social iniziano a correre commenti indignati per quanto accaduto e il comportamento delle insegnanti, sottoposto a un'indagine interna da parte della dirigente scolastica e del provveditorato, porta loro a scusarsi per l'increscioso episodio. "Giovanni è un bambino normale, lo dicono pediatri e neuropsichiatri infantili - spiega la mamma, pronta a trasferirlo in un'altra scuola -. È vivace, come molti coetanei ha bisogno di muoversi. Mi hanno chiesto di aspettare perché le insegnanti vogliono fare ammenda e, facendo finta che Babbo Natale si sia sbagliato a causa delle mascherine che portiamo al volto, regalare finalmente quel dono negato al bambino. Ma basterà?".

Occorre riflettere sul valore simbolico di questa vicenda, sul significato profondo dell'educazione e dell'insegnamento. Il rischio maggiore è che l'educazione tenda a conformare ai massimi livelli l'educando, ovviamente per il suo bene, secondo i princìpi e i doveri morali stabiliti da chi insegna. Ma il punto è che educare non dovrebbe essere l'arte di inculcare, bensì l'arte di tirar fuori - come suggerisce la maieutica socratica - tutte le ricchezze che ognuno, nella sua singolarità e unicità, possiede già dentro di sé. E tali ricchezze, se estratte con cura e sapute valorizzare e indirizzare, non solo portano a compimento l'identità dell'individuo, ma concorrono a fornire un apporto creativo all'intera società. Reprimere un comportamento in età infantile e addirittura punirlo, mortificarlo, è un'azione deleteria ai fini di una sana crescita ed evidenzia, nel tentativo di impartire un insegnamento, l'impeto personale di affermarsi come autorità.

Per concludere, propongo di riflettere su quanto educare e amare siano due arti interdipendenti e reciproche: non si può infatti avanzare la pretesa di educare se questa prescinde dall'amore per la vita e per il mistero dell'essere umano, il quale si presenta, già in tenera età, come un campo sconfinato di pulsioni, emozioni e desideri che necessitano di trovare il proprio ordine e la propria armonia nella realtà del mondo. Come afferma lo scrittore e umanista francese François Rabelais: "Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere", e la sfida del vero insegnante dovrebbe essere tesa all'adempimento di questa missione.


Maria Sole Santi



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