LUNEDI 26 APRILE 2021

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
(Gv 14,1-6)
Qui è il Cristo che parla, quel 'mistero' che eccede l'esperienza storica di Gesù di Nazareth. Come Pietro e Paolo compresero, 2000 anni fa, che il messaggio di Gesù non poteva limitarsi al mondo giudaico, così ora siamo chiamati tutti a compiere un ulteriore e radicale passo: imparare a riconoscere questo 'mistero' presente in ogni sapienza ed espressione dell'umano. Andare oltre l'idolatria di una immagine del mistero che è stata assolutizzata, per riconoscere la relatività ad ogni cultura di ogni immagine. La nostra è un'età che esige libertà e dialogo. Non è più possibile, oggi, non assumere come dato ineludibile il contesto globalizzato di incontro e mescolanza di culture, tradizioni, religioni, in cui viviamo: conoscere altre culture per attingere ad una sapienza che non è solo nostra, e di conseguenza riuscire a convivere meglio, nel rispetto reciproco, è diventata un'esigenza imprescindibile, interreligiosa ed ecumenica, nel senso più genuino e profondo del termine, secondo cui ogni simbolo parla e i simboli sono tutti sullo stesso piano. Siamo tutti interpellati a riconoscere che nessuno (nessuna cultura, nessuna tradizione, nessuna religione, nessuna filosofia, sapienza, o visione del mondo) possiede in esclusiva la verità, la totalità della verità, semplicemente perché la verità è plurale. E dunque la verità di una religione non implica la falsità delle altre.

Che io possa cercarti, desiderando; desiderare, cercando; trovare, amando; amare, trovando.
Non oso, Signore, penetrare nelle tue profondità, il mio intelletto è strumento disadatto; bramo comprendere parzialmente la tua verità che il cuore ama e crede.
Non cerco di intendere per credere, credo per intendere.
Son certo che se non avrò fede, non riuscirò ad intendere.
(Anselmo d'Aosta)

Il nuovo monaco mette in risalto l'unità dell'essere e del fare, ma sottolinea anche la distinzione tra essere e avere. Avere non significa solamente ricchezza, ma anche il potere dei mezzi. E l'avere può esercitare un peso mortale sull'essere. Il compito della spiritualità monastica consiste anche nell'alleggerire l'essere perché possa veramente essere. L'avere rappresenta tutto quello che l'essere non è stato ancora capace di assimilare. Ho scorte di cibo, ma il pane quotidiano non è l'avere, è l'essere. L'avere simboleggia tutti quei marchingegni artificiali che noi accumuliamo; è il sapere immagazzinato nelle nostre memorie computerizzate o nei libri e non trasformato effettivamente nel nostro vero essere.
(Raimon Panikkar, Beata semplicità. La sfida di scoprirsi monaco)
Ecco una prospettiva secondo la quale l'avere non è semplicemente opposto all'essere, ma un terreno ancora da dissodare, il luogo dell'esercizio e dello sforzo, affinché possa rivelarsi per quello che è nella sua più profonda essenza e verità: essere. Il punto, dunque, non è l'inazione, la semplice rinuncia al mondo e al secolare, dominato dall'avere, ma una azione che sia capace di liberare l'avere, elevandolo alla dignità dell'essere. Il monaco moderno - conclude Panikkar - risente del fatto che il monaco tradizionale è stato spesso 'condannato' all'inazione sociale col pretesto di essere e basta, come se le due cose fossero incompatibili. Vorrebbe essere attivo nel mondo come conseguenza del suo essere; esalta la povertà dell'avere per giungere a una più alta libertà del fare. «Riuscirà»? Ecco un'altra domanda che ci interpella personalmente.
Massimo Diana