MERCOLEDI 14 APRILE 2021

14.04.2021

Il sacrificio è l'uomo. È l'uomo [che lo offre] poiché è l'uomo che lo dispiega e, avendolo dispiegato, esso assume esattamente la stessa statura dell'uomo. Per questo motivo, il sacrificio è l'uomo.

(Śatapatha-brāmana I,3,2,1)

Il sacrificio è l'uomo, nel senso che è per il suo tramite che il sacrificio viene compiuto. Come scrive Panikkar, l'uomo nasce, muore e rinasce tre volte: una volta dai suoi genitori, una seconda volta quando offre il sacrificio e una terza volta quando, morendo, viene bruciato sulla pira. La seconda nascita, che ha luogo grazie al sacrificio, viene così spiegata: "tramite l'offerta che compie, il sacrificatore comunica con il mondo degli Dei e avviene una sorta di scambio. Così come il serpente si libera della pelle morta, colui che offre il sacrificio 'si libera' del suo corpo mortale. Egli lo presenta agli Dei e riceve in cambio un corpo immortale". Il sacrificio, in altre parole, consente e opera una sorta di 'reintegrazione' dell'uomo con la realtà totale, condizione per accedere alla pienezza della vita.

Penetrando nella terra, alimento tutto ciò ce ha vita, e diventando un liquido delizioso, nutro tutte le piante.

Io divengo il fuoco della vita e mi unisco all'alito vitale, trasformo gli elementi ingeriti dall'uomo.

Dimoro nel cuore di ciascuno, dono e riprendo la memoria e la sapienza, Io sono la rivelazione dei Veda, il maestro e il conoscitore del Vedanta.

Due personalità sono in questo mondo, una effimera e l'altra indistruttibile, la prima è quella di tutte le creature, l'altra è quella divina.

Ve n'è un'altra oltre queste due: il Sé supremo, il Signore imperituro che pervade e sostiene i tre mondi.

Poiché supero il perituro e sono più perfetto dell'Indistruttibile, sono conosciuto in questo mondo e nei Veda come la Realtà suprema.

(Bhagavad-Gita, XV)

Chiunque offra un sacrificio senza essere ancorato nella fede, offre un sacrificio che non ispira alcuna fiducia... Ma se un uomo prima esercita una salda presa sulla fede e poi offre il suo sacrificio, allora nel sacrificio di quell'uomo sia Dei sia uomini ripongono fiducia.

(Taittirīya-samhitā I,6,8,1)

Anche nella tradizione vedica il sacrificio è stato dettagliatamente regolamentato: chi compie il sacrificio non deve solamente soddisfare gli Dei lassù, ma anche i sacerdoti o brahmani ai quali devono essere presentati i doni. Ma, alla fine, ciò che dà pienamente valore al sacrificio e senza la quale il sacrificio - anche se compiuto in modo rigorosamente impeccabile - non avrebbe alcun senso, è la fede. La fede è l'elemento permanente e durevole del sacrificio. Certo la precisione nell'eseguire i riti è importante, ma ancor più importante è lo spirito con cui li eseguiamo. Questa consapevolezza relativizza il 'potere' dei sacerdoti istituiti. Senza la fede anche le più perfette cerimonie rituali non sarebbero che un inutile teatrino. Ma la fede non dipende dall'abito che indossiamo o dalla funzione che ricopriamo all'interno di una Istituzione. Il 'credere' è intrinsecamente laico, nel senso che non dipende dall'appartenere o meno, fino ad identificarsi, ad una qualche Istituzione religiosa. Il credere adulto riconosce l'Istituzione e la sua importanza, ma non l'assolutizza. È libero, sia di appartenere che di non appartenere, o di appartenere, in modo debole e relativo, simultaneamente, ecletticamente, a più Istituzioni. Il credente nell'età della cristianìa può dire di essere cristiano e contemporaneamente anche un poco buddhista, hindù, taoista e perfino ateo, senza avvertire alcuna lacerazione o contraddizione.

Massimo Diana 


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