NO ALLA TERAPIA, SÌ ALLA CURA

13.02.2020

CULTURA E SOCIETÀ

La Dottrina cattolica, il Codice di Deontologia Medica e la Convenzione Europea già da tempo rifiutano l'accanimento terapeutico, in omaggio al sacro diritto di morire con dignità

Il testamento biologico consiste in una dichiarazione scritta nella quale il soggetto, in vista di una possibile malattia che gli potrebbe togliere un giorno la lucidità di pensiero, indica gli operatori sanitari le cure cui desidera essere sottoposto e quelle che invece intende rifiutare. La volontà di collaborare col personale sanitario, esprimendo forme di consenso libero ed informato, è un requisito che rende più agevole il processo terapeutico e offre legittimità agli interventi medici. Di conseguenza, il testamento biologico, come documento che indica "in linea di principio" la volontà del paziente è positivo, ma non può essere considerato vincolante per vari motivi legati al buon senso e al realismo.

I. Non possiamo dimenticare che era medicina è in continua trasformazione sia nel campo diagnostico che terapeutico. Questo fatto evidenzia che alcune patologie oggi inguaribili, domani potrebbero essere adeguatamente curate. E il testamento biologico, ovviamente, non può prevedere simili eventualità.


II. L'esperienza quotidiana di molti malati mostra la diversità di prospettiva nel sottoscrivere questa dichiarazione in condizioni di perfetta salute e il vivere nella reale situazione di patologia grave o invalidante. È impossibile prevedere da sani quale sarà il proprio atteggiamento e la propria volontà quando ci si troverà a lottare con una malattia mortale. Interessante è l'esperienza del signor Smith: "Il signor Smith era un cardiopatico, giunto in ospedale per dolori al petto cui viene diagnosticato un infarto. Su richiesta del medico di turno, il paziente mostra una copia del proprio testamento biologico, è un codice DNR (Do Not Resuscitate), un soggetto da non rianimare. Alle quattro del mattino signor Smith si lamenta del dolore sempre più forte, suda e chiama l'infermiera col campanello. Un cardiologo che si trova a passare, accorgendosi dal monitor che il paziente è in arresto cardiaco, si precipita nella stanza per tentare di defibrillarlo, ma viene fermato dall'infermiera perché si tratta di un codice DNR. Alla fine il paziente è dichiarato morto". Questo è un chiaro esempio che mostra la contraddizione tra quanto firmato nel testamento biologico e quanto richiesta nel momento della malattia; il premere il campanello in cerca di soccorso sconfessava la firma precedente.

III. Il testamento biologico non può vincolare la coscienza del medico, imponendogli di non agire "secondo scienza e coscienza" o di praticare trattamenti diversi fra pazienti. Ad esempio: se al Pronto Soccorso dell'Ospedale è ricoverato un giovane in stato di incoscienza che ha assunto una forte dose di barbiturici per una delusione amorosa, e che in precedenza aveva firmato il testamento biologico chiedendo di non essere rianimato; come deve comportarsi il medico? Il modello medico-paziente che sottostà al testamento biologico é quello "contrattualistico" che presuppone la parità tra i due soggetti, ma il rapporto medico-paziente sarà sempre asimmetrico perché il medico "sa", mentre il paziente, il più delle volte, è incapace di un confronto obiettivo con il suo stato di salute, con le istanze scientifiche e con le conseguenze etico-morali. Il medico non può rinunciare alla sua autonomia professionale e alla sua dignità etica. Avendo come finalità il bene maggiore del paziente dovrà valutare se le richieste del suo assistito o il trattamento terapeutico adottato siano adeguati al caso concreto.


IV. Molti richiedono Il testamento biologico temendo l'accanimento terapeutico, cioè il tentativo di bloccare artificialmente un esito finale naturale, prolungando il processo biologico e l'agonia, non permettendo così una morte dignitosa. La Dottrina cattolica, il Codice di Deontologia Medica (art.14), la Convenzione Europea di Oviedo (art.9), già da anni rifiutano l'accanimento terapeutico cosci del diritto a morire con dignità, senza che macchine o farmaci prolunghino una parvenza di vita che, in realtà, non c'è più. Dunque il trattamento straordinario e sproporzionato, cioè "la terapia", di fronte a situazioni terminali deve essere sospesa, "la cura" no, essendo quell'insieme dei provvedimenti, sia di ordine medico che psicologico, atti a mantenere le condizioni psicofisiche del malato nella situazione migliore fino alla morte. Potremmo definire "la cura" come il "farsi carico" la globalmente del paziente, come ricordato nell'art. 37 del Codice di Deontologia Medica: "in caso di malattie a prognosi sicuramente infauste o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all'assistenza morale o alla terapia atta risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato trattamenti appropriati a tutelare, per quanto possibile, la qualità di vita". Nella "cura" rientrano la nutrizione artificiale, l'idratazione e l'igiene, indispensabili per salvaguardare la dignità della persona. Se queste fossero sospese, il paziente morirebbe, non a causa della malattia, ma per la sottrazione dei mezzi di ordinaria sussistenza. Le osservazioni precedentemente espresse sono state recepite dal Ddl approvato dal Senato: "disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informativo e dichiarazioni anticipate di trattamento".

Nei primi tre articoli del testo vengono delineate le finalità del Ddl che vuole garantire l'inviolabilità e l'indisponibilità della vita umana, nonché la tutela della salute come fondamentale diritto del cittadino e della collettività, assicurando la partecipazione del paziente all'identificazione delle cure mediche all'interno dell'Alleanza terapeutica tra medico e paziente. Nell'articolo 5 si entra nel vivo della delicata questione, indubbiamente il nodo più controverso del provvedimento, dell'idratazione e dell'alimentazione specificando che l'alimentazione è l'idratazione artificiale, in quanto forma di sostegno vitale, non possono costituire oggetto di dichiarazione anticipate. L'articolo 8 evidenzia che la volontà espressa nel testamento biologico non è vincolante per il medico curante, il quale non è tenuto ad applicare prestazione contraria alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Il testo è pienamente in linea con le indicazioni fornite dal comitato nazionale di bioetica il 18 dicembre 2003: "il Comitato Nazionale di Bioetica ritiene essenziale ribadire il diritto di riconoscere al paziente la possibilità di orientare i trattamenti in cui vorrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, ma questo non è un diritto all'eutanasia né un diritto soggettivo a morire (...) ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche straordinarie".

Articolo di Gian Maria Comolli - Teologo e sociologo, giornalista e Saggista.


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