NOVUS MODUS

05.04.2020

INCHIESTE

La pietas, di antichissima memoria, ritrovata oggi può essere una sorpresa e una risorsa

Iliade, XXIV canto.

Priamo, infiniti doni recando, solo, si porta alla nave di Achille, per chiedere all'eroe la restituzione del corpo di Ettore.

La scena abita l'ora che precede l'alba dalle dita rosa della civiltà occidentale. Qui si disvela l'essere quello che siamo sino alla più lontana ora tarda della notte della civiltà occidentale. Non c'è distanza. Non lontananza fisica, culturale, generazionale, politica.

Grande assente, non ancora affacciato all'Occidente, non ancora annunciato dall'arcangelo, quel Cristo che sarà la misericordia e il perdono per l'umanità tutta.

"Il gran Priamo strinse fra le sue mani i ginocchi d'Achille, baciò quella mano tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise" .... "Pensa al tuo padre, Achille... sentendo che tu sei ancora vivo egli gode in cuore e spera di vedere il figliuolo tornare da Troia.... "Ma io sono infelice del tutto che generai forti figli ma non me ne resta nessuno ... " "Tu ieri l'hai ucciso Ettore... per lui vengo ora, per riscattarlo da te..." "Achille, abbi pietà di me, pensando al padre tuo... ma io son più misero...potare alla bocca la mano dell'uomo che ha ucciso i miei"... "Entrambi pensavano e uno piangeva Ettore ma Achille piangeva il padre..." "S'alzava per quella dimora il pianto..."

Pochi passi estrapolati dalla traduzione del 1963 per Einaudi di Rosa Calzecchi Onesti, parole che graffiano i millenni che abbiamo sottopelle. La stessa scena oggi... rimbalzerebbe tra i leoni da tastiera e scatto facile, immortalata e resa virale, girata urbi et orbi, accompagnata dalla ridda di commenti politically correct, ecclesiae obsequentes, oltre che da rigurgiti psicanalitici.

Noi siamo distanti, noi abbiamo saputo mettere le distanze.

Prima della storia c'erano gli dei, gli eroi, gli uomini, che uccidevano senza pietà e con pietà sapevano piangere, lavandosi il sangue con acqua fragrante di rosa, lasciando ferri cruenti nella polvere per levare le mani in preghiera, spogliando i nemici uccisi delle armi restituite a gloria e onore dei vinti, nella ieratica solennità della semplicità del gesto, di chi conosce il perdono e non conosce la distanza.

Penso alla lugubre teoria di mezzi militari che esce da Bergamo, complice la notte, pesante non di armi ma di morti, i nostri morti, i morti della peste di oggi. Sofferenza morte e rimpianto accomunano gli umani, li affratellano più che la parentela durante le festività. Omero, prima della storia, segna il punto da cui partire. Nessuno è escluso dal male e il compatirsi e vivere il dolore insieme è il rovescio della medaglia, il lato B della guerra. Veicoli militari da strumenti di guerra si sono fatti strumenti di pietas, il bene nel buio della notte traluce nel male della pestilenza; eccolo, il collegamento al canto millenario, la pietas, il saper chinare il capo, piangere, con-piangere, nel momento del massimo dolore si stende l'abbraccio fra simili, come il cielo di distende sulla terra e ci avvolge riducendo le distanze le differenze le inimicizie e le ostilità.

Eccolo il meglio di noi, che sappiamo consolare e soccorrere, ecco che il virus, contro cui siamo in guerra con dichiarato stato di emergenza e leggi speciali annesse, il virus si impone e ci impone di rivedere il modo di agire e pensare e ci chiede di riconsiderare le relazioni tra le cose e tra di noi, riportandoci ad un essenziale che si è rarefatto, tra le cui larghe maglie hanno spadroneggiato il superficiale ed il superfluo, facendoci perdere la via e l'intelligenza di noi, della nostra pochezza e della nostra miseria.

Dalla presa e assunta consapevolezza della precarietà che la pandemia ha molto ben evidenziato, tenendo la viva lezione degli eroi che prima di noi hanno saputo essere uomini può nascere un novus modus, che entri prepotentemente nel sociale, nell'istruzione, nell'istituzione e porti un vivere più pieno e sano. Risanato. Da dentro.

Articolo di Silvia Alberti

Illustrazione digitale Kla


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