SABATO 10 APRILE 2021

Rabbi Michal ordinò ai suoi figli: «Pregate per il bene dei vostri nemici. E se doveste credere che questo non sia servire Dio, sappiate: più di ogni altra preghiera questo è servire Dio».
(Martin Buber, I racconti dei Chassidim)
Meravigliosa la consegna che Rabbi Michal fa ai suoi figli prima della sua morte, che contiene, in sintesi, tutta l'essenza di ogni cammino spirituale: «Pregate per il bene dei vostri nemici. E se doveste credere che questo non sia servire Dio, sappiate: più di ogni altra preghiera questo è servire Dio». Ecco, qui c'è davvero tutto. Iniziamo col "pregare per i nostri nemici" e finiremo per "servire" coloro che sono diventati "i nostri amici".

Il Signore del mondo che regnava già prima che qualunque creatura fosse plasmata, nel momento in cui tutto fu fatto, conforme al suo desiderio, allora cominciò a essere chiamato re.
E dopo che tutto avrà cessato di esistere regnerà ancora da solo, maestoso: Egli era ed Egli è, Egli sarà nella gloria.
Egli è Uno e non vi è un secondo che gli si possa unire o paragonare; senza inizio e senza fine, a lui appartengono forza e dominio.
È il mio Dio, è vivo il mio redentore, la mia roccia, la mia sorte nel tempo dell'angoscia, la mia insegna e il mio rifugio, il calice che ho in sorte nel giorno in cui invoco.
Nella sua mano affido il mio spirito, quando dormo e quando mi sveglio, non solo lo spirito ma anche il mio corpo: il Signore è con me, non ho timore.
(Liturgia ebraica: Machazor di rito italiano)

Nella sua infanzia Rabbi Zeev Wolf, il minore dei cinque figli di Rabbi Jehiel Michal, era un ragazzo selvaggio e spavaldo, che suo padre cercava invano di tenere a freno. Quando ebbe quasi tredici anni e tra poco sarebbe diventato un «figlio del comandamento» con impegno e responsabilità propri di fronte al volere di Dio, lo zaddik ordinò che si scrivessero i versi della Scrittura, per i tefillin che il ragazzo avrebbe portato d'ora in poi. Poi prego lo scriba di portargli le due custodie ancora vuote insieme ai versetti della Scrittura. Lo scriba glieli portò. Rabbi Michal prese in mano le custodie e le contemplò lungamente a capo chino, e le sue lacrime si riversarono su di esse. Poi asciugò le custodie e vi mise dentro i versi della Scrittura. Dal momento in cui il ragazzo Wolf mise per la prima volta i tefillin divenne tranquillo e amorevole.
(Martin Buber, I racconti dei Chassidim)
Il Magghid di Zloczow ebbe cinque figli. Il racconto letto questa sera si riferisce al minore dei suoi figli: Rabbi Zeev Wolf. Qui ci viene presentato come un «ragazzo selvaggio e spavaldo, che suo padre cercava invano di tenere a freno». Un bambino iperattivo - diremmo noi oggi. Eppure questo fanciullo indomabile divenne un grande Rabbi. La trasformazione iniziò con la celebrazione del Bar-mizvà, quando Zeev Wolf divenne "figlio del comandamento" - così viene chiamato il ragazzo che ha compiuto il tredicesimo anno, perché in quel giorno prende su di sé la responsabilità dell'adempimento degli obblighi religiosi. Il racconto ci fa toccare con mano tutta la potenza e la forza della 'testimonianza' e delle 'lacrime' del padre. Rabbi Michal, infatti, prende in mano i tefillin che sarebbero stati consegnati al figlio, li contempla lungamente a capo chino, e le sue lacrime si riversano su di essi. Poi asciuga le custodie e vi mette dentro i versi della Scrittura. Ebbene, «dal momento in cui il ragazzo Wolf mise per la prima volta i tefillin divenne tranquillo e amorevole». Ecco tutta la potenza e la forza di una buona educazione paterna, che non consiste, come a volte saremmo tentati di credere, in un'autoritaria imposizione di regole e divieti, accompagnata da severe punizioni, ma dall'affidare alla Vita il proprio figliolo, arricchito semplicemente dalla testimonianza della propria condotta di vita. Rabbi Michal non fu un padre autoritario, tant'è che il proprio figliolo crebbe «selvaggio e spavaldo». Ma questo figlio aveva davanti come modello un padre che aveva fatto del servizio a Dio il suo stile di vita. Al momento debito, questo padre consegna il proprio figliolo alla Vita, lo benedice - potremmo anche dire, e non solo a parole, ma con le sue stesse lacrime. E questo fa il miracolo.
Massimo Diana