SACERDOZIO FEMMINILE

08.02.2021

Il progressismo di Papa Francesco non arriva all'ipotesi del sacerdozio femminile:
le donne possono collaborare alle letture, ma non a quella del Vangelo.
Fino a quando la Chiesa conserverà questa inspiegabile misoginia?


La dottrina della Chiesa cattolica si è sempre espressa in termini molto chiari e definitivi: l'ordinazione di diaconi, sacerdoti e vescovi è una prerogativa esclusivamente maschile. Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994, ribadiva con fermezza l'esclusione delle donne dal sacerdozio, in risposta alla Comunione anglicana che ai tempi aveva risolto positivamente la questione. Nel 2018 l'attuale Prefetto, il cardinale Luis Francisco Ladaria, confermava tale posizione. E anche Papa Francesco, per molti aspetti definibile un progressista e fautore di una maggiore inclusione femminile nella Chiesa, fa sue le parole di Giovanni Paolo II. Alle donne è concesso partecipare alla liturgia e alle letture durante la Messa, tuttavia la lettura del Vangelo resta un privilegio riconosciuto solo agli uomini, a conferma che la Chiesa è un'istituzione maschile. 

Le spiegazioni attribuite alla definitività di questa ideologia si basano su una tesi molto semplice: i dodici apostoli scelti da Gesù erano uomini, e la Chiesa è sempre rimasta fedele a questo fatto interpretandolo come un'esplicita volontà di Dio di conferire solo agli uomini - per la loro somiglianza naturale con Cristo e per l'interpretazione del ruolo di sposi nella metafora sponsale che li lega alla Chiesa - il potere sacerdotale. Chi evidenzia, in questa tesi, la disparità di genere e la necessità di allinearsi ai nuovi tempi viene invitato a interpretare la dottrina non come espressione di un potere, per cui il ministero sacerdotale esprimerebbe un privilegio o una superiorità sul popolo di Dio, ma semplicemente l'espressione di un servizio che - se così compreso e vissuto - nulla toglie al genere femminile che può comunque aspirare alla più alta realizzazione umana e cristiana che è la santità. In realtà, a mio avviso, predicare, governare e santificare sono azioni che esprimono molto più di un semplice "servizio". Esprimono la presenza stessa di Cristo che, nel suo tramite umano, si fa portatore della parola di Dio nel mondo e conferisce un sacramento.

Se è vero che Cristo ha scelto di accettare il codice sociale del suo tempo, prendendo con sé i dodici apostoli, non è per questo deducibile che abbia inteso imporre, con questa scelta, una norma che sancisse l'esclusione definitiva delle donne dal sacerdozio. Riflettiamo insieme sul valore della tradizione. Quanto essa è di matrice divina - incontestabile e infallibile - e quanto invece è frutto di rielaborazioni umane, da inquadrare in un dato contesto storico, sociale e antropologico? Il pensiero tradizionale sulla donna e il suo ruolo si sono evoluti nel corso del tempo: anche le leggi che la riguardano andrebbero emendate. E' necessario un rinnovamento complessivo nella mentalità della Chiesa, più aderente a un progetto di unità e di uguaglianza, dove le donne vengano riconosciute al pari degli uomini nell'esercizio dei sacramenti, e recuperino quella centralità che spetta loro non solo nel Regno, ma anche nel popolo di Dio.
In questo senso, vale la pena sottolineare quanto un cambio di rotta sortirebbe effetti positivi sulla comunità dei fedeli che frequentano l'istituzione ecclesiastica. Consentire l'ordinazione sacerdotale alle donne ridurrebbe la distanza ontologica che si interpone tra l'essere umano e il divino. Non c'è distanza, non c'è forma, "Non c'è più uomo né donna, poiché tutti noi siamo uno in Gesù Cristo" (Gal, 3). 

Mitigare questa distanza significa allargare la consapevolezza di un Dio che sia "per tutti" e, soprattutto, "in tutti": libero di manifestare la sua grazia e i suoi doni attraverso chiunque rifletta, con la purezza del cuore, il suo messaggio d'amore.


Maria Sole Santi


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