VENERDÌ 5 MARZO 2021

Quando la terra sarà stritolata brano a brano, e verrà il Signore con gli angeli schiera a schiera, in quel Giorno sarà fatto avanzare l'Inferno, in quel Giorno l'uomo si ricorderà, ma che vale ricordare? Dirà: «Oh, se in vita avessi mandato innanzi opere buone»! Ma tu, o anima tranquilla, torna al tuo Signore, lieta di Lui che di te Si allieta. Entra fra i Miei servi, entra nel Mio Paradiso!
(Corano LXXXIX, 21-30)
È la consapevolezza del limite del tempo che ci è dato di vivere ciò che può rendere l'avventura della vita affascinante, unica e irripetibile. Questo e non altro è lo scopo ultimo di questa apocalittica immagine del Corano che ci parla della fine e del Giudizio che ci sarà. Nulla resterà segreto per sempre. Ciò che conta è non dimenticare... Naturalmente può spaventarci sul momento la consapevolezza che non siamo che «creature di un giorno», eppure è proprio questa certezza ciò che può aprirci alla dimensione più vera della vita. Come scrisse, senza alcuna falsa illusione, Marco Aurelio: "Siamo tutti creature di un giorno; colui che ricorda e colui che è ricordato. Tutto è effimero, tanto il ricordo che l'oggetto del ricordo. Vicino è il tempo in cui tutto avrai dimenticato; e vicino è il tempo in cui tutti avranno dimenticato te. Rifletti sempre sul fatto che presto non sarai nessuno, e non sarai da nessuna parte". Una visione della vita che si deve però anche incarnare nella quotidianità.

Voglio chiamarti sulle montagne, in mezzo alle rocce, insieme al canto degli uccelli nei luoghi abitati.
Voglio gridare il tuo Nome nel profondo del mare, insieme ai pesci, nelle silenziose pianure con le gazzelle. Voglio gridare il tuo Nome, come l'innamorato che delira chiamando l'amata.
Voglio gridare il tuo Nome nei cieli, insieme a Gesù, sul monte Sinai vicino a Mosè, accanto a Giobbe lo sventurato, a Giacobbe piangente, a Maometto tuo amico.
Voglio ripetere il tuo Nome quando ti ringrazio e glorifico, quando ripeto i tuoi attributi del brano dell'unità. Ebbro, piedi e testa nudi, voglio gridare il tuo Nome.
Voglio gridare il tuo Nome nelle lingue degli uomini, con le colombe che tubano, nel canto dell'usignolo, nell'invocazione di chi ti ama e t'invoca, voglio gridarti: mio Dio!
(Yunus Emré)

A Gandhi toccò di provvedere all'innovazione - la guerra nonviolenta - e a Khan di fornire la sorpresa. La storia giocò un brutto scherzo agli imperiali edificatori del Raj facendo nascere nel cuore della «terribile» un uomo che univa la focosità dei pathan al mite spirito di una colomba. Era una cosa assolutamente imprevedibile. Nessuno avrebbe potuto immaginare che dalle inquiete lande dei pathan potesse venir fuori un simile fenomeno, un san Francesco musulmano. Il fatto che sia successo, e che abbia dato origine a un movimento forte ed efficace, rimane uno dei momenti più straordinari - e trascurati - della storia.
(Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano).
Badshah Khan muore nel 1988 a Peshawar, ancora attivo nonostante l'età di 98 anni. È una storia che merita di essere raccontata, come esempio di un cammino spirituale laico, di un Islam pacifico e genuino. "Quel che Gandhi rappresenta per l'Induismo e Martin Luther King per il Cristianesimo, Abdul Ghaffar lo è per l'Islam, grazie al segno positivo che ha lasciato nel percorso della storia umana. La sua esistenza reca in sé i germi di una verità più profonda di cui il nostro mondo esplosivo, dal futuro incerto, ha molto bisogno. Badshah ha avuto il merito di affermare il valore dell'essere testimoni, con il coraggio della «forza della verità», principio profondamente insito nell'Islam. La sua vita fu un esempio bellissimo di fede, di servizio disinteressato per le creature di Dio, di amore in azione, perché la nonviolenza è tutto questo. Sono valori, per favore ricordiamolo, che appartengono anche ai musulmani".
Massimo Diana
