"La vita è come una notte trascorsa in un brutto albergo". Così Santa Teresa definiva il percorso terreno dell'uomo spiegando le lacerazioni, le angosce, i drammi che si sarebbero abbattuti sulle deboli spalle del malcapitato discendente di Adamo. Sembra un'immagine dalle tinte fosche è destinata ad assecondare quel folto manipolo di inguaribili pessimisti senza prospettive che, giorno dopo giorno, stanno diventando sempre più numerosi. Ma non è così. Non a caso è stata scelta la metafora della notte, simbolo del buio, ma destinata prima o poi, a scivolare nell'alba, nella luce di un nuovo giorno. Proprio in questo periodo in cui i tragici accadimenti della scena internazionale ci spingono alle corde come pugili suonati e in cui la dimensione privata di molti di noi è scossa da inquietudini e paure, è necessario riscoprire la nostra identità Cristiana e, con essa, la promessa che la sostiene: quella di una salvezza finale e per sempre. Un credente non ottimista e fiduciosa è un palese ossimoro. In cosa crede, allora? E in cosa può sperare? e invece ci sono ancora tanti ganci sui quali appendere con entusiasmo la nostra vita di tutti i giorni insieme alle numerose persone di buona volontà ancora in grado di ascoltare e di fare il bene. Stiamo con loro e non con i disfattisti. L'Uomo che nasce in questi giorni ha vinto la morte per noi e ci ricorda, dopo l'Ultima Cena, che "ci ha preparato un posto" dove ci attende e che il nulla per un cristiano è solo il penultimo atto della sua vita. L'ultimo, infatti, è la Resurrezione nella vita eterna.
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Daniele Gallo