Il primo pensiero che mi sovviene riguardo questo argomento è rivolto all'innocente, che si trova dietro le sbarre di un carcere senza ne colpa né peccato, senza la libertà di parola perché accusato e condannato ingiustamente.
SETTEMBRE OTTOBRE 2020

CARLO ACUTIS É BEATO
10 Ottobre 2020 Basilica Papale di Assisi si ricorderà il 12 ottobre di ogni anno
DALLA CRUNA DELL' AGO
Fin da bambini quando, tra un capriccio e l'altro, si cercava di convincere mamma e papà a comprarci l'ennesimo giocattolo o il terzo gelato della giornata, la maggior parte di noi si è sentita ripetere: "Basta, non possiamo comprare tutto quello che si vuole. E poi non sono le cose che regalano la felicità: è il senso della rinuncia che fortifica l'animo".
Ma allora essere ricchi, anche nei suoi estremi smodati, rende felici o infelici? Moltissimi tra quelli che fanno fatica, e sono sempre di più, mettere insieme il pranzo con la cena, vorrebbero almeno avere la possibilità di scegliere, convinti che, se anche la felicità non è automaticamente raggiungibile con un sostanzioso conto in banca a molti zeri, la tranquillità di poter soddisfare le nostre elementari necessità e quelle della nostra famiglia farebbe proprio piacere. Detto questo, anche noi apparteniamo alla corrente di pensiero secondo la quale non ce nesso alcuno tra la ricchezza e la felicità. Senza tirare in ballo alla nostra radice cristiana, che ci proietta l'immagine del ricco che fa più fatica a entrare nel regno dei Cieli di quanta ne farebbe un cammello a passare nelle esiguo spazio della cruna di un ago, o che ci fa assumere come modello il valore assoluto le Beatitudini che assegnano al povero i primi posti del Regno, credo che i ricchi possono tranquillamente sperare di non mancare al Grande Appello (comunque dietro ai poveri...) se avranno pensato agli altri con opere adeguate. Il problema è che se si pensa unicamente a investire sui beni materiali ci si occuperà meno di assecondare altre e più importanti esigenze e istanze.
Studi e ricerche di autorevoli economisti, psicologi e sociologi dell'Università milanese della Bicocca ne sono altrettanto convinti, al di là di ogni ragionevole dubbio. Questi studiosi, dediti all'analisi di poteri forti e di prodotti interni lordi, infatti garantiscono che quando aumenta la produttività di una nazione (e quindi la sua ricchezza) diminuisce proporzionalmente l'equilibrio e il benessere della sua società. Le punte di diamante di questi studiosi sono l'israeliano, Premio Nobel 2002 per l'economia, Daniel Kahneman, autore del fortunato testo "economia della felicità", e l'indiano Amartya Sen, Premio Nobel 1998.
Entrambi propugnano come vincente, nel pubblico e nel privato, un'economia etico-umanistica dove gli indicatori della felicità singola e collettiva sono l'assistenza ai più poveri, la difesa dei diritti civili, l'alfabetizzazione, l'aspettativa di vita. Quando in un Paese si è raggiunto un minimo livello di benessere ogni ulteriore aumento della ricchezza complessiva fa aumentare in infelicità.
Le cause sono immaginabili: le persone investono troppe risorse per l'acquisizione è il consumo di beni materiali, spesso inutili, a scapito di altri fondamentali valenze dell'esistenza, come la vita familiare e di relazione, fondamentali per il nostro equilibrio.
Direttore
Daniele Gallo
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